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Oggi vorrei parlarvi di come un vuoto interiore possa influire sulle nostre percezioni, emozioni, azioni, tensioni e dolori del corpo (come e quando si manifestano, sono importanti tanto quanto il dove). In particolare sul come impostiamo le relazioni, sul come mangiamo e sul tipo di dolore che si manifesta. Da dove arriva questo vuoto? un figlio che esce di casa, il cambio di lavoro, una separazione, un trasloco…sono tutte cose che possono risvegliare un vuoto “primordiale” (come avevo accennato qualcosa sulle ferite nel precedente post/podcast).
Prendiamo subito un argomento caro di questi giorni di festa: il mangiare. Come ci siamo sentiti prima, dopo e durante questi pasti di Natale? Abbiamo apprezzato il cibo? Di cosa ci siamo nutriti? Perché è importante ricordarci che il nutrimento non arriva solo dal cibo, anzi, è da quello che gli sta “intorno”…mi spiego meglio con un esempio. Un neonato si nutre solo di latte? O dell’affetto, dello scambio di sguardi, del calore, della sicurezza e della protezione? Gli studi sul comportamento animale ed umano hanno ormai consolidato che i cuccioli che sopravvivono e diventato più forti sono quelli che ricevono contatto amorevole. Le scimmie orfane preferiscono un peluche senza latte piuttosto che una tettarella artificiale.
Capiamo la differenza tra cibarci e nutrirci. Possiamo comprendere che il corpo non ha solo bisogno di elementi chimici (e questo dovrebbe farci pensare quando cerchiamo di curarci solo con integratori o farmaci). È importante ricordarci che ogni cosa è avvolta dalla sua simbologia, dall’ambiente in cui si trova e si è trovata.
Pertanto, riformulo la domanda: di cosa ti sei nutrito durante queste feste? Di preoccupazioni, litigi, chiacchiere vuote, dialoghi arricchenti, accoglienza, calore umano, cibo fatto in casa, cibo del supermercato, cibo industriale…? Hai cercato di fare “scorta” riempiendoti fino a stare male? Oppure ne hai comunque ricevuto senza esagerare? L’hai vissuto con paura, malinconia o felicità e serenità? Sono “spuntati” mal di testa, mal di schiena, febbre? Se sì, subito dopo o subito prima? Man mano che seguirai i miei podcast potrai capire meglio queste differenze, ascoltando il corpo.
Continuiamo…
In base a come siamo stati nutriti in passato, poi ci nutriremo da adulti … non significa che siamo condannati a un solo modo: potremo scegliere di cambiare, i una volta che ci siamo accorti di quale schema attuiamo.
È molto probabile che durante questi giorni di Natale abbiate notato che assieme al cibo ci sono le relazioni, che spesso il cibo è arricchito o risulta indigesto per le relazioni che lo contornano. Per cui chiedi a tua madre se e come ti ha allattato, cerca di ricordare come ti sentivi davanti al cibo fin da piccolo, cerca di capire cosa cerchi nel cibo, quale appagamento. Rischiamo di farci del male invece che nutrirci e, a volte, invece di alimentare la nostra salute, rischiamo di usare il cibo come un cerotto per una ferita che non ha bisogno di “cerotti”, ma di amore. E vaghiamo in cerca di questo amore…
Queste occasioni di festa ci mostrano come stiamo gestendo la nostra vita, quale sia la nostra ferita e come noi cerchiamo di guarirla. Se ci abbuffiamo a cena forse è perché a pranzo non ci siamo nutriti, se ci abbuffiamo alle feste forse è perché nella quotidianità ci sentiamo vuoti. Se ci viene la febbre prima del cenone forse ci siamo trascurati troppo durante i mesi precedenti o stiamo evitando qualcosa. Se ci ammaliamo dopo, forse abbiamo esagerato.
Rischiamo di vivere in modo frenetico anche le feste e arrivare alla ripartenza al lavoro più stanchi di prima. Viviamo la vita quotidiana come una lotta incessante, preoccupati, sentiamo la mancanza di appagamento, passando di obiettivo in obiettivo. Milioni di persone percepiscono questo vuoto, sentono o sperano che ci sia qualcosa di più per cui vivere e cercano attivamente una risposta. Spesso le ferie sono una fuga. Oppure saltare di qua e di là: corsi, seminari, libri, i yoga, thai-chi, danze sufi, feng-shui, seguire i guru della crescita personale in televisione. Ogni obiettivo potrebbe essere la ricerca di appagamento di un vuoto. Non significa sia un male: semplicemente qualcosa a cui porre attenzione, da osservare e prenderne atto.
Faccio qualche esempio di come potrebbe iniziare questo errare per il mondo in cerca di sé.
Per esempio, se abbiamo avuto una madre ansiosa con molta probabilità non abbiamo percepito sicurezza durante il nostro allattamento, e potrebbe essere che la ricerchiamo nel cibo: trovando luoghi sicuri dove mangiare, informandoci prima sul menù, mangiando sempre le stesse cose, mangiando poco, sentendoci subito sazi oppure mangiando velocemente per “sentirci esposti il meno tempo possibile”, non mangiare in compagnia. Altro esempio, la condizione di depressione in cui può trovarsi la madre fa diminuire il tempo di contatto con lo sguardo del neonato, il tempo in cui porta l’attenzione a lui, questo potrebbe far sì che venga influenzato il suo il modo di nutrirsi da adulto, un adulto che probabilmente sente di non essere stato amato, visto, di non avere valore, di non essersi sentito un dono, se non addirittura un peso. Attenzione: le sensazioni non una una verità oggettiva, ma soggettiva; per cui quello che potrebbe aver vissuto un neonato potrebbe essere stato sentito in modo completamente diverso da un altro.
E sentite come descrive Tich Nhat Nanh l’atto di mangiare: “Porta attenzione ad ogni boccone di cibo: prendi coscienza che questo cibo è il dono dell’intero universo. Il cielo e la terra hanno concorso a questo gesto” e aggiunge “La mancanza di consapevolezza è uno stato di dimenticanza, di noncuranza”. Riprendendo l’esempio di prima, nello stato di depressione si è in uno stato di dimenticanza di sé.
Quando mangiamo stiamo donando tempo, vibrazioni, colori, sapori, emozioni a ogni parte di noi: al corpo, mente e anima.
Nella nostra società che ritiene il corpo come una macchina, non mi sorprende che ci faccia credere che “il tutto e subito” sia cosa buona, che ci propone famarci per poter lavorare subito, senza offrirci i tempi naturali di guarigione, che ci offre delle cose chiamate “cibo pronto” qualcosa che è zucchero e coloranti… mi chiedo: stiamo dando valore a noi stessi in questo modo? Ci diamo la giusta importanza ingurgitando dei preparati cucinati da macchine industriali di imprenditori di multinazionali che pensano al profitto?
Per nutrirsi è necessario rallentare…il nutrimento è sensazioni e per sentire è necessario tempo, presenza, ascolto.
Non ci si può nutrire nella fretta, ci si ciba, ma non ci si nutre.
Il modo di mangiare influisce su tutte le altre cose che facciamo durante il giorno: sonnolenza, digestione lenta, stitichezza, diarrea, mal di testa, irritabilità, fatica a respirare, respirazione corta, tensione alle spalle, reflusso gastroesofageo, gastriti… sono solo alcuni esempi di conseguenze.
Quello che noi mangiamo viene usato dal nostro corpo per ricostruirsi; di cosa ti stai costruendo? Quali emozioni stai mettendo dentro di te? Quali prodotti chimici? Poi i mal di testa possono essere per le tossine che circolano, situazione che peggiora se bevi pure poca acqua…o per la tensione diaframmatica dovuta a uno stomaco troppo irritato. O a delle spalle rigide perché il diaframma non ha la sua mobilità fisiologica e devi usare i muscoli accessori (di collo e spalle) per respirare meglio.
Sto cercando di farti riflettere, di farti ricordare che sei importante, che hai valore, che sei un dono. In quanto tale offriti tempo, rispetto, ricorda la sacralità della vita che sta dentro di te. Che il compito è vagare nel mondo: partiamo dalla nostra ferita per arrivare a noi stessi, ai nostri talenti, e trovare il dono che ognuno di noi è.
Ecco cosa scrive un capo indiano: “Qualcuno si è sentito chiamato dalla propria natura, dalla realizzazione del proprio dono personale o se volete dalla propria anima, a rispondervi e a perseverare, attraverso privazioni e sacrificio, per rendere il compito della propria vita la reale soddisfazione. Servire, servire la Creazione, ogni giorno della nostra vita, mettendo a frutto i doni ricevuti. Questo è il donare più grande. Non c'è fonte di felicità più vera di questa.”
Spero di averti fatto scoprire nuovi modi di osservare il cibo e il rapporto con esso, oltre che con te stesso. E le tensioni, il mal di testa, il mal di pancia? Il dolore può farci cambiare il rapporto col cibo… in ogni caso il dolore è una delle chiavi, in qualsiasi sua forma ha una sua utilità: tornare a se stessi, scoprire noi stessi, perché ognuno di noi ha un dono da riportare all’Universo.
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Dottoressa Nicoletta De Col
Osteopata e MCB
Laurea triennale e specialistica in psicologia sociale
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