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Alla ricerca della felicità

“Non riesco ad essere felice! Vorrei qualcuno che mi ami, con cui condividere...”

Spesso mi capita di sentirla questa frase, mentre osservo la sofferenza di chi la pronuncia capisco profondamente quella sensazione di solitudine e insoddisfazione. Vorrei dire che si risolve velocemente, invece richiede tempo e molto lavoro su se stessi, sul proprio modo di preservare la vita, di comportarsi, di reagire, di ascoltare le proprie emozioni. C’è bisogno di integrare tutti quei frammenti di noi stessi, metterli insieme con “colla amorevole” e sentire che non si è soli tra le braccia della Vita. Nei momenti più terribili sarà per noi occasione di imparare ancora di più ad osservare sia la l’ombra che la luce: sia quello che ci sta distruggendo sia l’amore che ci può riparare.

La nostra felicità non possiamo trovarla In una persona che ci ama, in un lavoro appagante, nella compagnia di un cane o nell’avere figli, perché ognuna di queste cose ha un termine. La nostra felicità dobbiamo ricordare che è passeggera per definizione: ogni cosa è ciclica nella vita. Quello a cui possiamo aspirare è vivere ogni momento con serena accettazione, che non significa rassegnazione, ma rimanere in ascolto di ciò che ci accade, consapevoli che stiamo facendo il meglio che possiamo. La Vita ha il senso che noi le diamo ogni giorno: se abbiamo rimpianti è perché sappiamo di non essere stati la miglior versione di noi stessi in quei momenti che rimpiangiamo.

Quindi rischiamo di sentirci sempre vuoti, cercheremo sempre qualcuno con cui condividere hobby, passioni, con cui sentirci speciali, accuseremo la vita di essere in debito con noi, vivremo la nostra rabbia e frustrazione cercando quello che riteniamo giusto per noi.

Ma tutto questo non ci renderà felici e tanto meno sereni.

Ci troveremo ad avere un dolore che non passa, sia emotivo che fisico, fino a quando faremo finta che non c‘è quello emotivo dicendoci che va tutto bene: è solo stress!


Lo stress esiste sempre: siamo noi ad essere più o meno sensibili agli stessi stimoli. Non possiamo pensare di mangiare a 50 anni le stesse cose che mangiavamo a 20, senza impatti sul corpo. Non possiamo pensare di ignorare che un lavoro non ci piace.

Quindi che si fa? Credo che, a quello che sto per dire, la maggior parte dirà qualche parolaccia ad alta voce. Si ringrazia. Ringraziare permette di sentire le cose semplici, quelle che diamo per scontate e di percepire l’amore che vive in esse.

Faccio degli esempi. Mi aiutò a colazione sedermi e ringraziare notando che potevo ancora scegliere con cosa poter fare colazione (avevo ancora la possibilità di comprare i biscotti biologici), avevo due cani che mi guardavano in modo amorevole (ovviamente per lo stesso motivo: i biscotti).

Mi aiutò ringraziare la Vita, di sera, nel sentire quanto fosse piacevole una coperta e l‘appoggio della testa sul cuscino.

Mi aiutò ringraziare di potermi addormentare sapendo di non dover far fronte a delle grosse minacce come quelle di bombardamenti.

E ancora, quando portavo a spasso il cane ringraziavo l’esistenza di ogni albero presente nei 200 metri di guinzaglio governativo. Per essere sereni abbiamo bisogno di imparare a ringraziare. A maggior ragione se finora rabbia e frustrazione ci hanno già dimostrato che non conducono alla serenità.






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